L’art. 148 del Tuir rappresenta una norma "storica" di importanza decisiva per il comparto non profit, dal momento che individua il discrimine tra attività istituzionale e commerciale, vista la previsione della decommercializzazione dei proventi incassati per “le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali”.
Secondo quanto delineato dal primo comma, non è da considerarsi commerciale “l’attività svolta nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali, dalle associazioni, dai consorzi e dagli altri enti non commerciali di tipo associativo. Le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito complessivo”.
Il comma 2 individua come “effettuate nell’esercizio di attività commerciali […] le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto”, aggiungendo che tali corrispettivi “concorrono alla formazione del reddito complessivo come componenti del reddito di impresa o come redditi diversi secondo che le relative operazioni abbiano carattere di abitualità o di occasionalità”.
Ai sensi del comma 3, “non si considerano commerciali” (e sono dunque decommercializzate), le attività esercitate da alcune tipologie di enti associativi (incluse le Associazioni Sportive Dilettantistiche), laddove svolte “in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un'unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali, nonché le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati”.
Tale previsione di favore si applica anche alle Società Sportive Dilettantistiche, ferma la necessità di individuarne con precisione i destinatari, sulla base delle previsioni della risoluzione 38/E di Agenzia Entrate del 17 maggio 2010.
La decommercializzazione dei proventi prevista dal comma 3 è subordinata all’inserimento di apposite clausole all’interno dello statuto, specificate dal comma 8 e volte a garantire, nella sostanza, l’assenza di fini di lucro e l’effettività del rapporto associativo (es. divieto di distribuzione di utili, obbligo di devoluzione del patrimonio dell’ente in caso di scioglimento, “disciplina uniforme del rapporto associativo”, ecc.).
Dal canto suo, l’art. 7 del D. Lgs. n. 36/2021 di Riforma dello Sport ha indicato gli elementi che devono essere presenti negli statuti di ASD/SSD, in buona parte sovrapponibili.
In aggiunta alla denominazione, all’oggetto sociale, all’attribuzione della rappresentanza legale, vengono elencati tra gli altri, il divieto di distribuzione di utili, la necessità di prevedere norme “sull’ordinamento interno ispirato a principi di democrazia e di uguaglianza dei diritti di tutti gli associati”, l’obbligo di redazione dei rendiconti e la devoluzione “ai fini sportivi del patrimonio in caso di scioglimento”.
L’art. 89, comma 1, lett. a) del D. Lgs. n. 117/2017 sancisce la non applicazione nei confronti degli Enti del Terzo Settore delle disposizioni di cui all’art. 148 del Tuir.
Il comma 4 inoltre, modificando il terzo comma dell’art. 148, va ad escludere dal suo campo di applicazione una serie di enti associativi: associazioni assistenziali, culturali, associazioni di promozione sociale e di formazione extra scolastica della persona.
Posto che l’efficacia di tali norme è subordinata al parere della Commissione europea, solo ASD ed SSD potranno continuare a beneficiare del regime agevolato di cui all’art. 148, comma 3, fatta salva l’eventualità che decidano di assumere la veste di Ente del Terzo Settore.